mercoledì 29 ottobre 2025

Lo Spirito d’Assisi e la libertà dei Padri Fondatori: Leone XIV, il Papa americano che sfida il suprematismo religioso


Il Colosseo, simbolo di antiche violenze e di rinascita, è stato il palcoscenico scelto da Papa Leone XIV per il suo memorabile discorso del 28 ottobre 2025 davanti ai leader religiosi del mondo. Apparso sorridente, con lo stile sobrio e comunicativo che già contraddistingue il suo pontificato, il Santo Padre ha rilanciato con forza il tema che segnerà verosimilmente la sua missione: la pace come cammino spirituale e universale, e il dialogo interreligioso come fondamento di una nuova civiltà del vivere insieme. Ma in quelle parole, e soprattutto nel suo tono fermo e sereno, si avverte anche un messaggio dirompente: una sfida diretta al suprematismo religioso che oggi infiamma il mondo — e in modo particolare la sua terra natale, gli Stati Uniti.

Una dichiarazione programmatica di pace e conversione

Il passo centrale del discorso — «Il mondo ha sete di pace: ha bisogno di una vera e solida epoca di riconciliazione…» — non è solo una riflessione morale, ma una dichiarazione programmatica. In esso si condensa la visione teologica e antropologica di Leone XIV: la convinzione che la pace non nasca dalle istituzioni, ma dai cuori; che la fede autentica non divide, ma unisce; che la preghiera non è rifugio dell'anima isolata, ma atto politico e civile nel senso più alto del termine. "Chi non prega abusa della religione, persino per uccidere" — questa frase risuona come un colpo netto contro ogni forma di fanatismo travestito da zelo spirituale.

Leone XIV non parla da filosofo astratto, ma da uomo del suo tempo, consapevole che la violenza religiosa oggi assume forme nuove: nazionalismi mascherati da fede, ideologie identitarie che usano il linguaggio del sacro per legittimare la divisione. Il Papa denuncia questa deriva con parole forti e insieme misericordiose, ricordando che la preghiera autentica "è un movimento dello spirito, un'apertura del cuore". In altre parole, la fede non è possesso, ma incontro; non è arma, ma via di riconciliazione.

Un Papa americano contro il fanatismo religioso

Nato negli Stati Uniti, Leone XIV ha portato nel cuore di Roma l'eredità spirituale della sua patria — quella più profonda e dimenticata: la fede nella libertà di coscienza, nella dignità della persona, nella fraternità universale. Ma ha anche il coraggio di rivolgere al suo Paese d'origine una sottile, ma inequivocabile stoccata. Mentre gli Stati Uniti vivono una fase di polarizzazione religiosa senza precedenti, dove il Vangelo viene talvolta piegato a logiche di potere e di appartenenza politica, il Papa offre una lettura diversa: recupera lo spirito autentico dei Padri Fondatori, quello della libertà religiosa come spazio di convivenza e non di scontro.

Nel suo linguaggio si percepisce una risonanza con le parole di Thomas Jefferson e di James Madison, che difesero la separazione tra Chiesa e Stato non come negazione della religione, ma come condizione per la sua purezza. Leone XIV, paradossalmente, riafferma meglio di molti politici americani lo spirito religioso originario degli Stati Uniti: una religione che libera, che ispira il dialogo, che non impone ma propone. Nel farlo, egli innesta questa tradizione nel solco del magistero della Chiesa cattolica, fondandola non su un principio di laicità fredda, ma su quello evangelico della fraternità universale.

Il suo è un messaggio che parla al mondo globalizzato, ma anche al cuore ferito dell'America, dove la fede viene spesso usata per alimentare conflitti culturali e ideologici. Leone XIV mostra che il cristianesimo autentico non ha paura della pluralità: la riconosce come dono di Dio.

Lo "spirito di Assisi" e la continuità del dialogo

Nel richiamare lo storico incontro del 27 ottobre 1986 voluto da san Giovanni Paolo II, il Papa si inserisce pienamente nella linea spirituale che ha unito i suoi predecessori, ma la rinnova con un accento personale. "Mai più l'uno contro l'altro, ma l'uno accanto all'altro": da questa formula riparte Leone XIV per denunciare il ritorno di nazionalismi e fanatismi che minacciano il dialogo tra i popoli. Lo "spirito di Assisi", dice, non è una memoria, ma una sorgente ancora viva, capace di alimentare una cultura della pace.

Ringraziando la Comunità di Sant'Egidio per aver custodito questo spirito "spesso controcorrente", il Papa ricorda che la preghiera comune tra religioni diverse non significa relativismo, ma riconoscimento dell'unico orizzonte umano che ci accomuna. In un tempo segnato da diffidenze reciproche, Leone XIV rilancia il concetto di "fraternità religiosa": le religioni devono essere "sorelle", non concorrenti.

Il fondamento teologico: Nostra aetate come bussola

L'intero discorso trova il suo fondamento nella Dichiarazione Nostra aetate, promulgata il 28 ottobre 1965, di cui ricorre il sessantesimo anniversario. Per Leone XIV, questo documento conciliare rimane "la base solida" del dialogo interreligioso. Citando il passo in cui il Concilio ammonisce che "non possiamo invocare Dio come Padre di tutti se ci rifiutiamo di comportarci da fratelli", il Papa traduce in linguaggio contemporaneo il cuore del messaggio conciliare: ogni atto di fede è autentico solo se genera fraternità.

In questa prospettiva, il Papa denuncia la tentazione di strumentalizzare la religione per fini politici, citando le parole di Papa Francesco: "Guai a chi cerca di trascinare Dio nel prendere parte alle guerre!". Egli ne fa il proprio grido: "Mai la guerra è santa, solo la pace è santa, perché voluta da Dio!". In questo modo, Leone XIV rilegge Nostra aetate non solo come documento teologico, ma come progetto storico di convivenza.

La responsabilità dei governanti e il dovere della speranza

La parte finale del discorso, dedicata alla responsabilità dei leader politici, completa il quadro di un messaggio che unisce fede e impegno civile. "Mettere fine alla guerra è dovere improrogabile di tutti i responsabili politici di fronte a Dio": parole che riecheggiano la tradizione profetica dei grandi testimoni di pace, da Giorgio La Pira a Paolo VI.

Ma la novità di Leone XIV è la convinzione che la riconciliazione non sia soltanto un dovere politico: è una forma di intelligenza spirituale, una cultura che può vincere "la globalizzazione dell'impotenza". Dove il potere si mostra incapace di costruire pace, la preghiera diventa forza trasformatrice. La sua è una spiritualità attiva, non contemplativa nel senso passivo del termine. "Bisogna osare la pace!" — grida il Papa — e in questo invito risuona la voce dei poveri, degli esuli, dei popoli stanchi della violenza.

Un Papa del dialogo globale

Nel complesso, il discorso del Colosseo segna il manifesto del pontificato di Leone XIV. È la visione di un Papa globale e profondamente americano, che non rinnega le sue origini, ma le purifica alla luce del Vangelo universale. Egli incarna lo spirito dei Padri Fondatori, ma lo coniuga con quello di Assisi: libertà e fraternità, coscienza e comunione.

In un mondo lacerato da muri e contrapposizioni, Leone XIV propone una sintesi nuova: la religione non come identità chiusa, ma come linguaggio condiviso dell'umanità. E mentre denuncia il suprematismo religioso, mostra che la vera forza del credente non è l'imposizione, ma la testimonianza. "La pace è santa" — ripete con voce ferma — "perché voluta da Dio".

In queste parole si riconosce la sua vocazione: far risuonare nel cuore della Chiesa e del mondo la voce antica e sempre nuova della preghiera, che non divide, ma riconcilia; che non domina, ma libera. Leone XIV, il Papa venuto dall'America, restituisce al mondo un messaggio universale: la pace non si conquista, si prega. E solo pregando insieme potremo imparare di nuovo a vivere accanto, non contro.

Marco Baratto

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