Negli Stati Uniti sta accadendo qualcosa di profondo, forse irreversibile. Non si tratta solo di una crisi di fede o di una divergenza politica: è una trasformazione identitaria, una mutazione spirituale che sta ridefinendo cosa significhi essere cattolici nel XXI secolo.
La pubblicazione della nuova esortazione apostolica di Papa Leone XIV sulla povertà, l'energia e la giustizia sociale ha agito come una scossa elettrica dentro il corpo ecclesiale americano. Nel giro di poche ore, i social network si sono riempiti di insulti: "Papa comunista", "traditore della vera fede", "servo del globalismo". È bastato che il Pontefice parlasse di povertà energetica e di responsabilità ambientale perché venisse accusato di fare politica.
Ma non è il Papa a essere entrato in politica. È la Chiesa statunitense che da tempo ha confuso la politica con la fede, trasformando il cattolicesimo in una bandiera di parte.
Il cattolicesimo americano dell'Ottocento era la religione degli immigrati: italiani, irlandesi, polacchi, messicani. Era una fede povera ma viva, una Chiesa che costruiva scuole, ospedali, opere sociali. Oggi, quella Chiesa non esiste più.
Al suo posto, è nata una nuova entità: una Chiesa Nazionale Americana, che usa la dottrina come arma identitaria e la liturgia come segno di appartenenza politica. È una Chiesa che si autodefinisce "pro-life", ma che benedice la pena di morte; che parla di "libertà religiosa", ma intende in realtà libertà per imporre la propria visione morale; che difende la famiglia, ma spesso dimentica il povero, il migrante, il malato.
È un cattolicesimo travolto dall'infezione evangelica, un ibrido tra fede cattolica e fanatismo protestante, dove l'emozione sostituisce la ragione, e la fedeltà alla nazione rimpiazza la comunione con Roma.
Nelle chiese del Midwest si prega per il "ritorno dell'America cristiana", nelle scuole cattoliche si insegnano manuali che reinterpretano la dottrina sociale alla luce dell'ideologia nazionalista. È un processo di protestantizzazione interna, ma travestito da "ritorno alla tradizione".
Questa trasformazione si manifesta chiaramente nelle urne.La fede, in molte comunità, è ormai un'estensione dell'identità politica. Essere "un buon cattolico" significa spesso appartenere a una certa parte dello spettro ideologico. Le omelie domenicali parlano di aborto, armi, libertà economica — raramente di disuguaglianza, migranti, ecologia.
Il nazionalismo cattolico americano ha costruito un linguaggio teologico proprio, in cui il Vangelo viene piegato a sostegno del capitalismo, del patriottismo, della forza militare.
La "Dottrina Sociale della Chiesa" è ignorata o reinterpretata secondo la logica del mercato e del profitto.
Roma, in questa narrazione, diventa un corpo estraneo, un'autorità "straniera" che non può comprendere lo spirito americano.
E così, il Papa — simbolo dell'unità — diventa un bersaglio. Papa Leone XIV, pur essendo di nascita statunitense, è trattato come un nemico interno: un pontefice accusato di "voler distruggere la civiltà occidentale" solo perché parla di giustizia, compassione e sobrietà.
Quello che si sta formando non è semplicemente un gruppo di cattolici conservatori. È una Chiesa parallela, con i suoi media, i suoi teologi, i suoi leader laici. Un universo che riconosce solo parzialmente l'autorità del Papa e che tende a costruirsi una dottrina "americana", autonoma da Roma.
Si tratta di un fenomeno culturale e spirituale complesso: il cattolicesimo americano ha sempre cercato di conciliare due identità — la fedeltà alla Chiesa universale e l'appartenenza alla nazione. Oggi però il pendolo è andato troppo oltre. Il cattolicesimo si è politicizzato, la fede è diventata un marchio di appartenenza, e il Vangelo è stato sostituito dal mito della "Christian nation".
Papa Leone XIV, in modo sottile ha fatto capire che quando la fede diventa ideologia, quando il nome di Cristo viene usato per difendere il potere, non resta più religione, ma idolatria.
Parole dure, che hanno scatenato un'ondata di rabbia. Ma la reazione dei "cattolici nazionalisti" ha solo confermato la verità del suo messaggio: la loro non è più una questione di fede, ma di potere.
Il cuore del problema è teologico ma anche politico. La Chiesa americana è sempre più fedele al Trono che all'Altare. Nel linguaggio del Papa, questo significa che il potere politico — oggi incarnato da certi movimenti identitari e populisti — ha sostituito l'autorità spirituale.
Il cattolicesimo, da sacramento di comunione, è diventato strumento di divisione. E la parola "tradizione" è usata per giustificare l'intolleranza.
Il paradosso è che molti di questi movimenti si proclamano "difensori della vera fede" proprio mentre la stanno smantellando dall'interno.
Rifiutano la compassione, negano la giustizia sociale, disprezzano l'universalità del messaggio cristiano. Il risultato è un cattolicesimo nazionalista, potente economicamente ma sterile spiritualmente.
Il Papa riformatore — solitario a Castel Gandolfo — appare oggi come l'ultimo argine a questa trasformazione. Mentre il silenzio di molti vescovi americani pesa come una complicità.
Ciò che accade negli Stati Uniti non è uno scisma formale, ma un processo di distacco progressivo.
I fedeli non si dichiarano fuori dalla Chiesa, ma ne reinterpretano i principi fino a svuotarli del loro senso originario.
È uno scisma di fatto, una frattura culturale più che dottrinale, che potrebbe presto diventare irreversibile.
Questo nuovo cattolicesimo americano si sente autosufficiente: ricco, influente, politicamente potente. Perché mai dovrebbe ascoltare Roma? Eppure, proprio questa autosufficienza è il segno più chiaro della sua fragilità spirituale.
Una Chiesa che non ha più bisogno del Papa, che rifiuta il dialogo e sostituisce la fede con l'identità nazionale, è destinata a implodere sotto il peso della propria arroganza.
Papa Leone XIV lo sa. E per questo, pur consapevole di essere solo, continua a insistere sulla povertà, sulla pace, sulla fraternità universale. Non perché siano "temi politici", ma perché sono il cuore del Vangelo.
Forse la Chiesa universale dovrà presto compiere una scelta difficile. Continuare a tollerare questa deriva, per non perdere il contributo economico e il peso politico della Chiesa statunitense, oppure dire con franchezza che non tutto ciò che si chiama "cattolico" lo è davvero.
A volte è meglio una ferita netta che un'infezione cronica .Forse anche per la Chiesa vale lo stesso principio: meglio perdere potere e ricchezza che la propria anima.
Perché il cattolicesimo americano, nella sua versione nazionalista, non è più un ramo dell'albero universale: è un corpo estraneo. E il compito del Papa non è quello di salvarne la potenza, ma di salvarne il cuore.
La Chiesa di Papa Leone XIV è povera, ma fedele. La Chiesa Nazionale Americana è ricca, ma prigioniera del potere. Tra le due, la storia della fede ha sempre scelto la prima.
Marco Baratto
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