martedì 8 luglio 2025

Il Codice Leone: Un messaggio sottile di pace nella commemorazione anabattista


Il 29 maggio 2025, in occasione della commemorazione dei 500 anni del movimento anabattista tenutasi a Zurigo, il Santo Padre Leone XIV ha inviato un messaggio profondo e denso di significato ai partecipanti, intitolato significativamente "Il coraggio di amare". In apparenza una semplice esortazione cristiana all'amore e alla riconciliazione, il messaggio papale si configura in realtà come un discorso stratificato, capace di toccare – seppure con discrezione – i drammi geopolitici del nostro tempo, in particolare il conflitto in Ucraina. Vi è in questo discorso, quasi nascosto tra le righe, un "Codice Leone": un linguaggio implicito, ma incisivo, che invoca la pace ricordando il ruolo storico dei mennoniti e il valore della tolleranza religiosa.

Il coraggio di amare: oltre la memoria divisa

Il motto scelto per la commemorazione – "Il coraggio di amare" – non è un'espressione casuale. Il Papa richiama il comandamento dell'amore come chiave per superare le ferite storiche che separano cattolici e mennoniti: "Quanto è importante, quindi, quella purificazione dei ricordi e quella rilettura comune della storia che possono permetterci di curare le ferite del passato e costruire un nuovo futuro attraverso il 'coraggio di amare'". Il riferimento è chiaro: solo la rilettura della storia in modo onesto e condiviso permette di sanare le divisioni e di avviare processi di vera unità.

Tuttavia, all'interno di questo passaggio, emerge un livello più profondo e attuale: il Papa, parlando di memoria, riconciliazione e unità, si inserisce in una cornice di guerra e lacerazione che oggi riguarda non solo le confessioni religiose, ma interi popoli.

Mennoniti e Ucraina: una memoria che parla al presente

In apparenza separata dal messaggio papale, la storia dei mennoniti appare invece come un potente parallelo simbolico. Nel 1786, molti mennoniti tedeschi si trasferirono nelle terre meridionali dell'Impero zarista, in quella che oggi è la moderna Ucraina. La zarina Caterina la Grande offrì loro terre da coltivare e una completa tolleranza religiosa. Quella migrazione fu una delle tante che portarono i mennoniti a creare comunità agricole fiorenti, ma anche a vivere ciclicamente l'esperienza della persecuzione e dell'esilio. Dopo la Rivoluzione bolscevica, la maggior parte dei discendenti di quei contadini fu costretta a fuggire: alcuni trovarono rifugio negli Stati Uniti e in Canada, altri in Paraguay e in Messico.

Il legame con l'Ucraina non è solo storico: è esistenziale. Quelle terre, che un tempo furono rifugio e simbolo di tolleranza religiosa, sono oggi devastate da anni di conflitto. Il Papa, senza mai menzionare esplicitamente la guerra in corso, lancia un chiaro messaggio: "Nel contesto del nostro mondo dilaniato dalla guerra, il nostro continuo cammino di guarigione e di rafforzamento della fraternità svolge un ruolo fondamentale, perché più i cristiani saranno uniti, più efficace sarà la nostra testimonianza a Cristo, Principe della Pace."

Questo passaggio è centrale. Inserito con delicatezza, ma con determinazione, rappresenta una implorazione diplomatica per la fine delle ostilità, per un ritorno alla tolleranza, alla convivenza, alla pace. Il Santo Padre non cita luoghi o governi, ma le sue parole richiamano in modo chiaro e inequivocabile la tragedia ucraina e la necessità di una testimonianza cristiana unitaria nel condannare la violenza.

Il modello della tolleranza: Caterina la Grande e la lezione dimenticata

Il riferimento ai mennoniti e all'accoglienza offerta da Caterina la Grande assume così una valenza paradigmatica. Quella zarina, illuminata e attenta alla diversità religiosa, garantì ai mennoniti non solo asilo, ma il rispetto della loro fede e delle loro pratiche pacifiste. In un tempo in cui l'intolleranza e la guerra religiosa erano diffuse in tutta Europa, la scelta dell'imperatrice russa rappresentava un segnale di apertura che oggi, paradossalmente, sembra perduto proprio in quei territori.

Il Papa, da raffinato teologo e fine osservatore storico, sembra dire: ricordiamoci che l'Ucraina non è solo terra di conflitto, ma anche terra di accoglienza, di pluralismo religioso, di fede operosa e pacifica. Il suo appello è quindi duplice: non solo alla pace, ma anche alla riscoperta di quella tradizione di tolleranza che un tempo rese possibile la convivenza.

"Il Codice Leone": un appello che supera la diplomazia

Se da un lato il linguaggio di Leone XIV resta fedele al suo stile pastorale e riflessivo, dall'altro traspare chiaramente la sua strategia comunicativa: parlare al cuore dei cristiani, ma anche ai responsabili delle nazioni. Non chiede la pace con proclami o condanne, ma con l'autorevolezza morale della memoria, della storia e del Vangelo.

Citare Sant'Agostino – «Ogni mia speranza è posta nell'immensa grandezza della tua misericordia. Da' ciò che comandi e comanda ciò che vuoi» – è un richiamo all'umiltà dell'uomo davanti al mistero del dolore e alla responsabilità dell'amore. Un amore che oggi deve diventare anche azione concreta per la giustizia e la riconciliazione tra i popoli, a partire proprio dall'unità dei cristiani.

Conclusione: l'eredità profetica del messaggio

Il messaggio di Leone XIV ai mennoniti e, indirettamente, al mondo intero, è un invito ad aprire gli occhi sul nostro tempo: un'epoca segnata da fratture, guerre e incomprensioni, ma anche capace di rigenerarsi nella memoria condivisa, nella testimonianza cristiana e nella fede in un Dio che è Principe della Pace.

Il suo "Codice" non è nascosto: è accessibile a chi ascolta con attenzione e sa leggere oltre le parole. È una chiamata a riscoprire, come i mennoniti del passato, la forza mite della fede, capace di sopportare persecuzioni, esili e dispersioni, ma sempre pronta a testimoniare l'amore, la tolleranza e la pace.

Marco Baratto

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