Papa Leone è un pontefice che rifiuta le etichette. Ed è proprio per questo che viene spesso frainteso. La stampa americana e italiana, abituata a leggere la realtà in chiave binaria – progressista o conservatore, occidentale o anti-occidentale, filo-qualcuno o contro-qualcun altro – fatica a decifrarlo. Talvolta lo sminuisce, talvolta lo intrappola in teorie fantasiose, come fa un noto giornalista romano che ogni giorno profetizza concistori imminenti e trame di palazzo. Ma Papa Leone, con una sobrietà che è cifra del suo stile, sembra non curarsene affatto. Né della stampa italiana né di quella statunitense.
Il suo primo messaggio di Natale lo dimostra in modo inequivocabile. Non un discorso intimista o devozionale, ma un intervento di ampio respiro geopolitico, forse uno dei più densi e strutturati degli ultimi decenni. Al centro, una parola tanto semplice quanto rivoluzionaria: responsabilità. «Sorelle e fratelli, ecco la via della pace: la responsabilità». Non l'accusa dell'altro, non la ricerca del colpevole, ma il riconoscimento delle proprie mancanze, la capacità di chiedere perdono e di farsi solidali con chi soffre. È una visione che scardina le logiche dominanti della politica internazionale, fondate sulla forza, sulla deterrenza e sulla contrapposizione.
Per Papa Leone la pace non è un equilibrio di poteri, ma una condizione del cuore. Gesù Cristo è la pace perché libera dal peccato e indica una strada concreta per superare tutti i conflitti, da quelli interpersonali a quelli internazionali. Senza un cuore riconciliato non può esistere una pace autentica. È una teologia che diventa immediatamente politica, ma senza mai ridursi a ideologia.
Il messaggio natalizio attraversa il mondo come una mappa del dolore globale. Medio Oriente, Europa, Africa, America Latina, Asia, Oceania: nessuna regione è dimenticata. La Santa Sede parla dei cristiani del Medio Oriente, ascoltandone paure e impotenza; invoca giustizia e stabilità per Libano, Palestina, Israele e Siria; affida l'Europa al Principe della Pace, ricordandole le sue radici cristiane e la sua vocazione solidale; prega per l'Ucraina martoriata, chiedendo che cessino le armi e che le parti trovino il coraggio di un dialogo sincero e rispettoso.
Ed è qui che emerge con chiarezza quello che potremmo chiamare, usando un'espressione efficace, il "Codice Leone". Papa Leone non risponde agli insulti con altri insulti, non alle invettive con le invettive. Quando il presidente ucraino, nel suo messaggio natalizio, arriva ad augurare la morte a Putin, il Papa risponde con il linguaggio tipico della diplomazia della Santa Sede: fermo, garbato, disarmante. "Dialogo sincero, diretto e rispettoso". Nessuna benedizione delle armi, nessuna legittimazione dell'odio. Solo pace.
Per questo viene frainteso. La diplomazia russa lo considera filo-ucraino; molti ucraini lo percepiscono allo stesso modo. In realtà Papa Leone non è filo-ucraino, così come Papa Francesco non era filo-russo. La sua posizione è più radicale: non gli interessa stabilire chi abbia ragione, chi sia l'aggressore e chi l'aggredito. Gli interessa fermare il sangue. In questo senso, paradossalmente, è persino più neutrale del suo predecessore.
Papa Leone conosce bene le tensioni interne al mondo cattolico ucraino, in particolare il nazionalismo esasperato di ampi settori della Chiesa greco-cattolica. E lavora, con pazienza, per sottrarre la religione alla logica del conflitto, per evitare che il Vangelo venga arruolato come arma identitaria. Papa Francesco, con il suo temperamento passionale, spesso entrò in rotta di collisione con quella Chiesa; Leone sceglie un'altra strada. Non alza la voce, non provoca. Aspetta.
La differenza di stile è evidente anche sul piano umano. Papa Francesco aveva l'animo del tifoso di calcio: istintivo, emotivo, pronto a gridare per farsi sentire. Papa Leone è un amante dell'equitazione e del tennis. E come un tennista sa che per mettere a segno il punto decisivo serve silenzio, concentrazione, studio dell'avversario e del campo. La sua geopolitica è una geopolitica del tempo lungo, del lavoro sotterraneo, della discrezione.
Lo si vede anche nelle scelte tematiche del messaggio natalizio. La Santa Sede parla del dramma dimenticato della Repubblica Democratica del Congo, ancora in parte sotto il controllo delle milizie terroristiche dell'M23. Parla dei migranti non solo in Europa, ma anche di quelli che attraversano il continente americano, con un riferimento neanche troppo velato alle politiche restrittive della sua stessa nazione d'origine. Parla di Gaza senza giri di parole, immedesimandosi negli abitanti che hanno perso tutto. Parla dello Yemen, di Haiti, del Myanmar, del Sudan, del Sahel africano. È una geopolitica che guarda alle periferie, non ai palazzi.
Il "Codice Leone" (termine che ho coniato io ) è tutto qui: centralità delle vittime, rifiuto dell'odio, ostinazione della pace. È un codice che russi e ucraini, al momento, non comprendono. Entrambi lo giudicano troppo sbilanciato. Ma forse è proprio questo il segno che Papa Leone ha colpito nel punto giusto. In un mondo che chiede schieramenti, lui offre una via. In un mondo che urla, lui sceglie il silenzio. E come ogni grande giocatore, aspetta il momento giusto per chiudere il punto.
Marco Baratto
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