Quando Papa Leone ha rivelato i suoi quattro film preferiti in vista di un incontro con il mondo del cinema, molti hanno cercato subito una chiave di lettura "confessionale", un messaggio esplicitamente cattolico, magari rassicurante. Ma è proprio qui che nasce l'equivoco. Papa Leone non parla al cinema come a uno strumento di propaganda religiosa: lo guarda come una catechesi di umanità, un luogo in cui l'uomo viene raccontato nella sua verità, nelle sue ferite, nei suoi slanci, nei suoi fallimenti. Un codice – potremmo chiamarlo "codice Leone" – che nessuno sembra ancora saper leggere fino in fondo.
Tra i titoli citati, La vita è bella (1997, Roberto Benigni) è forse quello che più chiaramente esplicita questa visione. Non è un film "religioso", non parla di Dio in modo diretto, eppure è profondamente teologico. Racconta il male senza edulcorarlo, lo attraversa senza negarlo, ma sceglie di affrontarlo trasformandolo in un atto d'amore. Guido non nasconde al figlio l'orrore del campo di sterminio: lo affronta a modo suo, lo trasfigura per renderlo sopportabile. Non fugge dalla realtà, la combatte con l'arma più disarmata e potente: la speranza. È esattamente questo che Papa Leone sembra indicarci: i problemi non si risolvono nascondendoli, ma guardandoli in faccia.
Lo stesso filo conduttore attraversa Tutti insieme appassionatamente (The Sound of Music, 1965). Anche questo, a ben vedere, non è affatto un film cattolico in senso stretto. Anzi, mette in scena il dubbio vocazionale di Maria, una giovane donna che entra in convento più per fuggire dai problemi che per una chiamata autentica. La celebre frase della Madre Badessa – «Nasconderti nel convento non può risolvere i tuoi problemi. Li devi affrontare!» – è una lezione di straordinaria modernità spirituale. È una catechesi laica, potentissima, che dice una cosa scomoda: la fuga, anche quando assume forme religiose, non salva.
Maria è costretta a uscire dal luogo che credeva sicuro per scoprire il suo vero scopo nella vita. Non rinnega la fede, ma la incarna. Torna nel mondo, nella villa del Capitano von Trapp, affronta sentimenti, responsabilità, paure. E lì, nel confronto con la realtà, trova la sua vocazione autentica. È una storia che parla di discernimento, non di obbedienza cieca; di maturità, non di rifugio. Non sorprende che Papa Leone l'abbia scelta: è un film che smonta l'idea di una religione come nascondiglio e propone una fede che cammina dentro la storia.
È qui che il Papa americano inizia a diventare incomprensibile per molti europei. Siamo figli di un lungo pontificato mediatico come quello di Giovanni Paolo II, carismatico e simbolico; di un teologo come Benedetto XVI, forse il meno "adatto" al ruolo mediatico di Papa ma proprio per questo capace del gesto rivoluzionario delle dimissioni; e infine di Papa Francesco, con la sua anima latina, narrativa, emotiva, pastorale. Papa Leone è altro. È figlio di una cultura anglosassone pragmatica, diretta, poco incline alle mediazioni simboliche che tanto piacciono a noi europei.
Per questo appare freddo, distante, "incompreso". In realtà, sta semplicemente parlando un'altra lingua culturale. Una lingua che non ama nascondere i problemi sotto strati di retorica, ma li affronta frontalmente. Il suo gesto di indicare quattro film non cattolici, provenienti in larga parte da una cultura riformata, non è una provocazione: è una dichiarazione di metodo. La verità non ha paura di contaminarsi con l'umano, perché nasce dall'umano.
Papa Leone sta scrivendo una nuova pagina del pontificato. È davvero il primo Papa americano nel senso più profondo: non per il passaporto, ma per l'appartenenza a quella parte più evoluta della cultura americana, capace di coniugare pragmatismo e idealismo, concretezza e speranza. Il suo messaggio è semplice e radicale: non ci si salva scappando. Né nei conventi, né nelle ideologie, né nelle narrazioni consolatorie. Ci si salva affrontando la vita, come Maria, come Guido, come ogni uomo che decide di non chiudere gli occhi davanti al dolore.
Forse non lo capiremo fino alla fine del suo pontificato. Forse continueremo a giudicarlo con categorie europee che non gli appartengono. Ma il codice Leone è già lì, sotto i nostri occhi, inciso nelle storie che ha scelto di raccontare. Un codice che parla di umanità prima ancora che di dottrina. E che ci chiede, senza sconti: stai affrontando la vita o ti stai nascondendo?
Marco Baratto
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