Santa Francesca Saverio Cabrini, fondatrice delle Missionarie del Sacratissimo Cuore di Gesù, fu una donna che seppe leggere il futuro prima che il futuro si imponesse con violenza sulla storia. Quando, tra Otto e Novecento, milioni di uomini e donne lasciavano l'Europa per cercare pane, pace e dignità nelle Americhe, Cabrini comprese che la modernità sarebbe stata segnata non dai confini, ma dal loro attraversamento. Vide che le migrazioni non erano un'emergenza temporanea, bensì una struttura permanente del mondo nuovo.
Per questo si prese cura dei migranti, soprattutto italiani, non come problema sociale ma come questione spirituale. Ospedali, scuole, orfanotrofi: la sua opera fu concreta, ma il suo sguardo era teologico. Il migrante non era un peso, ma un luogo in cui Cristo chiedeva di essere riconosciuto. Non a caso divenne la prima santa degli Stati Uniti: non perché "americana", ma perché profondamente cattolica, cioè universale.
Oggi, a distanza di oltre un secolo, quella intuizione torna drammaticamente attuale. I flussi migratori globali sono enormi, caotici, spesso strumentalizzati politicamente. Ma ciò che colpisce non è solo la dimensione sociale del fenomeno: è la frattura spirituale che esso sta rivelando, in particolare negli Stati Uniti. Ed è proprio su questo crinale che si collocano i discorsi di Papa Leone XIV sulle migrazioni e sulla politica migratoria americana.
Il Pontefice non parla solo di leggi, confini o sicurezza. Parla di anima. Nei suoi interventi, anche quando non cita esplicitamente Santa Francesca Cabrini, ne ripercorre le tracce: l'idea che una nazione costruita sull'immigrazione tradisce se stessa quando demonizza il migrante; l'idea che il cristianesimo non può essere ridotto a un'identità etnica o nazionale senza snaturarsi.
Ed è qui che emerge il nodo più inquietante: quello che molti osservatori definiscono, non senza timore, uno "scisma americano". Non uno scisma formale, ma sostanziale. Un cattolicesimo che assume categorie nazionaliste, che sacralizza la frontiera, che confonde il Vangelo con una certa idea di ordine politico e che, di fatto, si avvicina sempre più a una teologia protestante del successo, dell'elezione e della prosperità.
Questo fenomeno è particolarmente visibile in alcuni ambienti conservatori statunitensi, spesso alimentati da conversioni di massa provenienti dal mondo evangelicale e protestante. Conversioni sincere, certo, ma non sempre accompagnate da una reale assimilazione della cattolicità della Chiesa. Il rischio è quello di importare nel cattolicesimo americano una logica settaria, identitaria, che vede Roma come un ostacolo e il Papa come un'opinione.
In questo senso, si comprende perché Papa Leone XIV stia compiendo nomine strategiche negli Stati Uniti. Non si tratta di semplice amministrazione ecclesiastica. È un tentativo di arginare una deriva dottrinale e pastorale che potrebbe spaccare la Chiesa dall'interno. Vescovi e cardinali chiamati non a confermare un consenso politico, ma a ricostruire un senso di comunione, di obbedienza e di universalità.
Dire che "il Papa è in pericolo" non significa evocare complotti, ma riconoscere una realtà: quando una parte significativa di una Chiesa locale smette di riconoscersi nel magistero universale, il rischio non è solo per Roma, ma per l'intero corpo ecclesiale. E dire che "la Chiesa americana è in pericolo" significa ammettere che essa rischia di diventare una Chiesa nazionale, autoreferenziale, più vicina a una denominazione che a una Chiesa cattolica.
Santa Francesca Cabrini ci ricorda un'altra strada. Una strada fatta di frontiere attraversate, di lingue diverse, di fedeltà a Roma e di amore concreto per gli ultimi. Una strada scomoda, allora come oggi. Ma è l'unica strada che può salvare la Chiesa americana dal ripiegarsi su se stessa e il cattolicesimo dal diventare una religione civile.
La battaglia sulle migrazioni, oggi, non è solo politica. È teologica. Ed è lì che si decide il futuro della Chiesa negli Stati Uniti.
Marco Baratto
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