domenica 16 novembre 2025

Il Giubileo dei poveri e la frattura americana: il “cattolicesimo evangelico” sfida Roma


Nel quadro del Giubileo dei poveri, il recente intervento di Papa Leone XIV – un'omelia di forte intensità biblica e sociale accompagnata da un tweet che esortava i leader mondiali ad ascoltare «il grido dei più poveri» perché «non ci può essere pace senza giustizia» – ha generato negli Stati Uniti una reazione particolarmente aspra. Le parole del Pontefice, radicate nella tradizione profetica e nella dottrina sociale della Chiesa, hanno suscitato accuse di "marxismo", "socialismo" e perfino di "comunismo" da parte di commentatori e settori del cattolicesimo statunitense sempre più distanti dalla linea di Roma.

Non si tratta di un episodio isolato, ma del sintomo di un fenomeno più profondo e strutturale: l'emergere di quello che chiamo  "cattolicesimo evangelico", espressione che descrive una corrente interna alla Chiesa americana che assorbe categorie culturali, retoriche e teologie proprie di certo evangelismo conservatore. Una corrente che tende a reinterpretare il cristianesimo alla luce del mito del successo, della prosperità economica come segno della benedizione divina, e di un individualismo che vede nella libertà personale l'unico criterio morale. Tutto ciò si intreccia con il vecchio pensiero protestante della predestinazione, secondo cui ricchezza e stabilità sarebbero prova dell'elezione divina.

In questo contesto, l'appello del Papa a rimettere i poveri al centro della vita sociale è percepito da alcuni come minaccia alle strutture economiche dominanti e al modello culturale su cui si fondano ampi settori della destra cristiana americana. Da qui la reazione nervosa e ideologica: ogni richiamo alla giustizia sociale viene automaticamente tradotto nella categoria politica dell'estrema sinistra. È paradossale, ma rivelatore: l'annuncio del Vangelo dei poveri viene letto come sovversivo proprio da chi, almeno nominalmente, si definisce cristiano.

La distanza crescente tra parte del cattolicesimo negli Stati Uniti e il magistero pontificio non può più essere interpretata come semplice pluralismo culturale. Siamo davanti, sempre più chiaramente, a una dinamica di "americanizzazione" del cattolicesimo, che sostituisce la visione universale della Chiesa con un approccio nazionale, ideologico e selettivo. Al centro non vi è più l'insegnamento della Chiesa, ma una lettura della fede filtrata attraverso la politica americana, le sue paure, le sue guerre culturali.

Da qui nasce quella che chiamo  "lo scisma silenzioso americano": non uno scisma dichiarato, ma una crescente separazione di mentalità e di obbedienza, che sfocia nella disinvoltura con cui si delegittima il Papa ogni volta che egli tocca questioni di giustizia economica, migrazione, ruolo dello Stato, povertà strutturale. Il recente caso del tweet papale è solo l'ultimo anello di una catena di reazioni simili.

L'omelia di Papa Leone XIV, invece, si iscrive nella più solida tradizione cattolica. Richiama la centralità biblica del "giorno del Signore" come irruzione della giustizia divina, insiste sul Vangelo come buona notizia per i poveri, e presenta la Chiesa come "madre dei poveri" chiamata a camminare tra persecuzioni e consolazioni. La speranza cristiana non è evasione spirituale, ma responsabilità storica: nella sofferenza e nelle oppressioni, Dio non abbandona l'uomo, e la comunità cristiana è chiamata a esserne segno vivo.

Nel testo papale emerge un'idea centrale: la povertà non è una questione sociologica, ma teologica. «I poveri – ricorda Leone XIV – sono la stessa carne di Cristo». Di fronte a un mondo segnato da solitudini, guerre, migrazioni forzate e disuguaglianze crescenti, la Chiesa non può rinchiudersi in un intimismo religioso né limitarsi a un moralismo culturale. È chiamata a "rompere il muro della solitudine" con una cultura dell'attenzione e della cura.

Proprio questo, però, è il punto di rottura con il "cattolicesimo evangelico" americano, che tende a vedere nella religione soprattutto una difesa dell'ordine, della morale pubblica e dei valori familiari tradizionali, riducendo la giustizia sociale a un'opzione ideologica o a un tema marginale. La tensione è evidente: da una parte un cattolicesimo universale, fedele alla dottrina sociale della Chiesa e al Vangelo della misericordia; dall'altra un cattolicesimo identitario, nazionalizzato, con forti tratti protestanti, che interpreta la fede soprattutto come battaglia culturale.

Il rischio di uno scisma culturale – e potenzialmente dottrinale – è reale. Ma il Papa risponde con chiarezza, senza polemiche: invita la Chiesa intera a rimanere ancorata all'unica vera logica del Vangelo, quella che si riconosce nei poveri, non nel potere. Per questo rilancia figure come San Benedetto Giuseppe Labre, il "vagabondo di Dio", patrono dei senzatetto, e ripropone Maria come custode delle scelte divine che rovesciano i potenti e innalzano gli umili.

Il messaggio è inequivocabile: il cristianesimo non è e non sarà mai religione della prosperità. L'unico criterio del discepolato è l'amore per gli ultimi, non la benedizione del successo. E ciò che oggi accade negli Stati Uniti non riguarda solo gli Stati Uniti: anche fuori dal mondo americano occorre vigilare, perché il fascino del "cattolicesimo evangelico" può diffondersi facilmente, soprattutto in contesti segnati dall'individualismo e dalla retorica del merito.

Il Giubileo dei poveri diventa così un banco di prova per il cattolicesimo globale. Da una parte si misura la fedeltà alla tradizione incarnata della Chiesa; dall'altra la tentazione di trasformare la fede in identità politica. Papa Leone XIV offre una scelta chiara: ritornare al Vangelo della povertà, o cedere al Vangelo del successo. E questa scelta definirà, nei prossimi anni, non solo la rotta spirituale dei cattolici americani, ma l'unità e il futuro della Chiesa nel suo insieme.

Marco Barattoc

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