Roma. La frattura tra il Vaticano e una parte del cattolicesimo conservatore statunitense, vicino alla galassia MAGA, si è accentuata nelle ultime settimane. Al centro delle polemiche ci sono due questioni che, pur diverse, vengono lette come segnali di un Papato percepito sempre più distante: la confusione attorno a un presunto "giubileo LGBT" e la recente riorganizzazione delle diocesi in Cina, decisa da Papa Leone XIV.
Il caso del "giubileo LGBT"
Nei forum e nei media conservatori americani è circolata la notizia di un giubileo dedicato alla comunità LGBT, interpretata come ulteriore prova di una Chiesa troppo compiacente verso le istanze del progressismo occidentale. Dal Vaticano non sono arrivate conferme ufficiali su un'iniziativa di questo tipo, ma la semplice diffusione della voce è bastata per alimentare accuse di "deriva dottrinale" e di cedimento culturale.
Le diocesi cinesi e il nodo con Pechino
Ancora più forte è stata la reazione alla decisione, annunciata a luglio, di sopprimere le diocesi di Xuanhua e Xiwanzi per erigere la nuova diocesi di Zhangjiakou, suffraganea di Pechino. Una mossa che il Vaticano ha giustificato come parte di una più ampia riforma pastorale, collegata all'accordo provvisorio con la Repubblica Popolare Cinese sulla nomina dei vescovi.
La base cattolica MAGA ha letto invece l'operazione come un gesto di sottomissione agli interessi del Partito Comunista, denunciando una "svendita" della libertà religiosa. L'eco della vicenda si è amplificata anche alla luce del caso di Jimmy Lai, il cattolico imprenditore e attivista pro-democrazia di Hong Kong ancora detenuto, diventato simbolo della resistenza alla stretta di Pechino.
La voce dei vescovi USA
Sul fronte interno, a creare ulteriore attrito con la destra cattolica americana è stata la posizione netta della Conferenza Episcopale degli Stati Uniti contro le retate di massa contro gli immigrati, lanciate nelle ultime settimane dall'amministrazione. I vescovi hanno richiamato il Vangelo dell'accoglienza e il dovere di difendere la dignità delle famiglie migranti, una presa di posizione che ha scatenato critiche durissime da parte dei settori più vicini alla retorica nazionalista e securitaria.
Il silenzio operoso del Papa
In questo quadro, colpisce lo stile di Papa Leone. Non interviene con dichiarazioni roboanti, ma opera in silenzio, quasi senza farsi sentire avvicinare. Così è accaduto il 14 giugno, nel giorno della parata militare a Washington: mentre i riflettori erano puntati sulla potenza militare americana, Leone ha diffuso un messaggio sobrio, definito "soft" dagli osservatori, che invitava alla pace e al dialogo globale. Un gesto interpretato da molti come segnale che il Pontefice non intende essere percepito come subordinato a Washington, ma come pastore universale che guarda al mondo.
Cattolicità contro tribalismo politico
La linea di Leone, discreta ma ferma, sottolinea un concetto chiave: la Chiesa non è chiamata a fare da scudo a un'identità politica particolare, ma a interpretare la cattolicità nella sua pienezza, includendo culture, popoli e sensibilità differenti. Non cristianesimo come arma di divisione, ma cattolicità come ponte. Una visione che stride con l'approccio di chi, negli Stati Uniti, vorrebbe trasformare la fede in bandiera identitaria contro nemici interni ed esterni.
Un nodo geopolitico e spirituale
Le tensioni odierne mostrano un cattolicesimo diviso tra due spinte opposte: la diplomazia vaticana che insiste sul dialogo e sulla mediazione, anche con regimi ostili, e una parte della base che pretende un linguaggio di condanna totale, senza compromessi. Tra Roma e gli ambienti MAGA la distanza appare ormai strutturale, e difficilmente colmabile.
Il vero terreno di scontro, però, non è solo politico. È spirituale: riguarda la scelta se usare la fede come muro identitario o come spazio universale di incontro. Ed è su questa frontiera che Papa Leone, con il suo passo silenzioso e discreto, sta tracciando la rotta della sua Chiesa.
Marco Baratto
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