domenica 23 novembre 2025

Nicea, il Filioque e la Pasqua Unica: il coraggio ecumenico di Leone XIV


L'ultima Lettera Apostolica di Leone XIV, In unitate fidei, rappresenta un documento destinato a lasciare una traccia importante nel cammino del dialogo tra la Chiesa cattolica e le Chiese ortodosse. Non solo per la scelta di riproporre con forza il cuore della fede condivisa — la proclamazione cristologica del Concilio di Nicea — ma soprattutto per un gesto senza precedenti nel magistero della Chiesa latina: il riconoscimento esplicito che l'espressione «e procede dal Padre e dal Figlio (Filioque)» non appartiene al testo originario del Credo niceno-costantinopolitano, ma fu inserita successivamente nel Credo latino da Papa Benedetto VIII nel 1014.

Questa precisazione ha un valore teologico, storico ed ecclesiale epocale. Per oltre un millennio il Filioque è stato uno dei nodi più sensibili nella divisione tra Oriente e Occidente. Non si tratta di un dettaglio secondario, bensì di un elemento identitario della fede così come professata nelle due grandi tradizioni cristiane. Il fatto che un pontefice latino affermi in forma ufficiale non solo l'origine storica posteriore del Filioque, ma anche il fatto che esso «è oggetto del dialogo ortodosso – cattolico», rappresenta una vera e propria apertura, un riconoscimento di dignità dell'altra tradizione teologica, e un cambio di postura di grande rilevanza.

Per secoli, spesso in modo implicito, si è dato per scontato che la teologia latina rappresentasse una sorta di "norma unilaterale" della comprensione trinitaria. Oggi, con un linguaggio sobrio e rispettoso, Leone XIV riconosce che le formulazioni del Credo sono state storicamente plurali e che l'inserzione del Filioque appartiene a un contesto specifico — quello del primo millennio occidentale — e non alla Tradizione universale dei primi Concili ecumenici. È, quindi, una restituzione di verità storica e insieme un gesto di fraternità verso l'Oriente cristiano.

Ma non è tutto. Leone XIV non si limita a un gesto di riconciliazione sul piano dottrinale. Egli delinea uno stile, una visione, un metodo: «Questo non significa un ecumenismo di ritorno allo stato precedente le divisioni, né un riconoscimento reciproco dell'attuale status quo della diversità delle Chiese e delle Comunità ecclesiali, ma piuttosto un ecumenismo rivolto al futuro, di riconciliazione sulla via del dialogo, di scambio dei nostri doni e patrimoni spirituali». Qui emerge una concezione dinamica dell'unità, non nostalgica e non relativista: non si tratta di tornare indietro, né di accontentarsi di una "federazione delle differenze", ma di camminare verso un'unità nuova, frutto di purificazione reciproca, ascolto e sinergia spirituale.

Ed è precisamente su questo piano di "doni spirituali concreti" che entra in gioco un altro passaggio importante per l'unità visibile: l'unica data della Pasqua. Fa parte esplicita dei desideri espressi da Leone XIV e delle attese profonde di molti cristiani del mondo intero, che la Chiesa cattolica possa compiere finalmente il passo di aderire alla prassi comune del mondo ortodosso, ossia la celebrazione della Pasqua secondo il calcolo stabilito dallo stesso Concilio di Nicea: Pasqua nella prima domenica dopo il primo plenilunio di primavera astronomica osservata a Gerusalemme, calcolata secondo il calendario giuliano.

Le Chiese cattoliche di rito orientale già seguono questa prassi: celebrano la Pasqua secondo il calendario giuliano e il Natale secondo il calendario gregoriano, come ponte concreto tra le due grandi sensibilità ecclesiali. Questo modello, di fatto già operativo, rappresenta un esempio prezioso di inculturazione liturgica e armonizzazione delle tradizioni.

Adottare una data comune della Pasqua non sarebbe un gesto tecnico di calendario, ma un segno profetico di comunione. Significherebbe, con umiltà e coraggio, accogliere un dono dell'Oriente: perché il calcolo pasquale niceno-giuliano non è una semplice convenzione, ma un'eredità teologica della Chiesa indivisa del primo millennio.

In questo senso, possiamo dire che Leone XIV ha preparato il terreno. Egli ha aperto uno spazio di verità condivisa e riconciliante: ammettere la storicità del Filioque — senza rinnegare la teologia latina — significa rifiutare la tentazione della uniformità e scegliere la via della sinfonia delle Tradizioni.

Ora sta alla comunità cattolica — pastori, teologi, fedeli — compiere il passo successivo: trasformare il clima teologico in gesti liturgici concreti. Una Pasqua celebrata nello stesso giorno, una sola volta l'anno, un'unica proclamazione: «Cristo è risorto!». Sarebbe questo il segno che l'unità non è un concetto astratto, ma una realtà vissuta.

Il prossimo concistoro straordinario e gli incontri che si terranno a Nicea in occasione del 1700° anniversario possono diventare — come auspica la Lettera Apostolica — un laboratorio di unità, un luogo di decisioni coraggiose. L'Oriente cristiano non attende gesti di supremazia, ma gesti di fraternità. E l'Occidente cattolico, oggi come mai, ha la possibilità di mostrare maturità spirituale e amore per la Chiesa indivisa.

Il futuro dell'ecumenismo passa attraverso scelte molto concrete. Tra queste, forse nessuna più eloquente dell'unità nella data della Pasqua: perché celebrare insieme la risurrezione del Signore significa riconoscersi realmente un unico Corpo, risorto con Cristo, nella storia e nel tempo.

Marco Baratto

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