Il millesettecentesimo anniversario del Concilio di Nicea, che quest'anno ci invita a tornare alle fonti comuni della nostra fede, ci spinge a guardare avanti con lo stesso ardore e coraggio con cui i Padri della Chiesa affrontarono le sfide del loro tempo. La commemorazione di quell'evento, fondamentale per la definizione del Credo condiviso da cristiani d'Oriente e d'Occidente, si intreccia con un altro orizzonte decisivo: l'anno 2033, bimillenario della Redenzione compiuta da Cristo. Quella data, ormai vicina, rappresenta non solo una ricorrenza simbolica, ma un'occasione di grazia, un kairos per un cammino più audace e concreto verso l'unità visibile dei discepoli del Risorto. Come ci ha ricordato Papa Francesco nella Bolla Spes non confundit, il Giubileo in corso ci orienta proprio in questa direzione, come pellegrini nella speranza, chiamati a lasciarci consolare dallo Spirito e a offrire consolazione in un mondo lacerato. La Redenzione non è solo memoria, ma sorgente di una speranza viva, capace di trasformare i cuori e le relazioni tra le Chiese. La visita dei pellegrini ecumenici statunitensi a Roma e Costantinopoli, guidati dal Metropolita Elpidophoros e dal Cardinale Tobin, è un segno eloquente di questo desiderio condiviso di andare alle radici, per proiettarsi insieme verso Gerusalemme, la Città della Pace. Lì, dove Pietro e Andrea ricevettero lo Spirito insieme agli altri Apostoli, tutto ebbe inizio; e da lì possiamo sognare un nuovo inizio per il cristianesimo del terzo millennio. Ma per giungere a quella Gerusalemme spirituale e simbolica, serve compiere gesti profetici, capaci di indicare che l'unità non è un'utopia, ma un dono da invocare e accogliere con scelte concrete. Uno di questi gesti, atteso da tempo e ormai sempre più urgente, potrebbe essere il ritorno a un'unica data per la celebrazione della Pasqua, come segno visibile di un'intesa profonda fondata sull'essenziale. La risurrezione del Signore è il cuore della fede cristiana, e il canto condiviso dell'Alleluia pasquale in questo 2025, anno in cui i due calendari coincidono, ha offerto un assaggio della gioia che nasce dall'unità. Per questo motivo, proprio il 2033, che commemorerà i duemila anni della Pasqua originaria, potrebbe diventare il punto di convergenza per le Chiese, il momento opportuno per ristabilire una data comune. Un gesto semplice, ma eloquente: riprendere il computo stabilito a Nicea, accogliendo la tradizione della Chiesa greco-cattolica, che non si fonda sul calendario gregoriano ma su un calcolo condiviso che rispetta la prassi antica. Ciò non significherebbe un ritorno al passato in senso arcaico, ma il coraggio di lasciarsi ispirare da una sapienza ecclesiale capace ancora oggi di unire, nonostante le differenze. Non si tratta di mera aritmetica liturgica, ma di un atto teologico, spirituale ed ecclesiale, capace di indicare al mondo che i cristiani possono camminare insieme, che non hanno bisogno di competere nei simboli, ma di testimoniare con un cuore solo e un'anima sola il mistero di Cristo crocifisso e risorto. Questo gesto, se accolto e condiviso nella sinodalità, potrebbe diventare il segno tangibile di un cammino già iniziato e irreversibile, frutto dei dialoghi, delle preghiere comuni, dei gesti di riconciliazione che, a partire dalla Dichiarazione del 1965 tra Paolo VI e Atenagora, hanno segnato un cambio di rotta epocale. Il pellegrinaggio odierno di cristiani di diverse confessioni, da Roma a Costantinopoli, è reso possibile proprio da quell'abbraccio, che ruppe le scomuniche e aprì spiragli allo Spirito. Oggi siamo chiamati a non fermarci. Come il Buon Samaritano del Vangelo, siamo invitati a versare l'olio della consolazione e il vino della gioia su un'umanità ferita, e questa guarigione potrà iniziare anche da un segno di unità ecclesiale, da un calendario condiviso che superi incomprensioni e orgogli di parte. Il dialogo ecumenico deve trasformarsi sempre più in sinodalità ecumenica: ascolto reciproco, discernimento comune, corresponsabilità nella missione. Solo così si potrà rendere credibile la testimonianza cristiana in un mondo che cerca risposte al buio del male, alla frammentazione, alla solitudine. Il Papa Leone XIV, nel suo discorso ai pellegrini a Castel Gandolfo, ha mostrato quanto questo desiderio di unità sia vivo e radicato. Con parole semplici ma potenti, ha ribadito che nessun grido di dolore resterà inascoltato se ci lasciamo guidare dalla speranza, se sappiamo ancora guardare a Pietro, Paolo e Andrea non come figure divise tra le Chiese, ma come fratelli nella fede, testimoni di un unico Signore. Il 2033 può diventare l'anno della Pasqua comune, della sinodalità vissuta come fraternità ritrovata, dell'abbraccio tra Roma, Costantinopoli e tutte le Chiese. Ma serve il coraggio di scegliere. Serve il coraggio di tornare a Nicea, non per ripetere, ma per rinascere. Serve un gesto, anche piccolo, che dica al mondo: Cristo è risorto, è veramente risorto, e lo è per tutti, in un'unica Chiesa che sa celebrare insieme il cuore della sua fede.
Marco Baratto
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